Scusatemi, sono troppo occupato!

Nei giorni scorsi abbiamo assistito ad un serrato scambio di opinioni sulle performance e sulle “irriverenze” di Achille Lauro. Nei testi delle sue canzoni o dei monologhi vi sono certo delle frasi che inneggiano in modo evidente ad uno stile di vita senza riferimenti e senza legge non certo condivisibile da un cristiano. Inoltre è stato messo in evidenza un uso indiscriminato di termini e di simboli della fede cristiana che è apparso come una desacralizzazione e ciò ha potuto suscitare dolore e riprovazione.

Quanto vorrei esprimere a questo proposito è che potremmo leggere tutto ciò anche come un’occasione che ci viene data per accostarci più da vicino a quanto stiamo vivendo nella società di oggi. Ci vengono in aiuto, a questo scopo,  le letture tratte dalla Liturgia della quarta Domenica Quaresima.

La prima lettura, tratta dal libro delle Cronache (2Cr 36,14-16.19-23), parla, guarda caso, proprio del tema della desacralizzazione e lo fa attraverso la narrazione della distruzione del tempio e l’esilio in Babilonia e spiega che questa rovina era stata dovuta in fondo all’infedeltà e al disamore del popolo. Il testo si conclude però con la promessa del re di Persia: «Il Signore, Dio del cielo, mi ha concesso tutti i regni della terra. Egli mi ha incaricato di costruirgli un tempio a Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!».

Come  aveva profetizzato il gesto di Gesù, quando scacciò i mercanti dal tempio, la distruzione del tempio può essere vista anche come l’invocazione della sua “ricostruzione”  o meglio della nascita di un nuovo tempio e di un nuovo culto fondato anzitutto sull’amore e sul rispetto della persona umana. La distruzione del tempio, così come ogni desacralizzazione, può essere vista quindi anche come una dolorosa occasione che ci viene data ogni volta per comprendere il vero senso del messaggio cristiano, al di là delle strutture e dei commerci umani, e ripartire da lì per un nuovo modo di essere e di vivere maggiormente sobrio, essenziale ed evangelico.

Un bel criterio per leggere quanto il giovane artista Achille Lauro ci ha mostrato e che può essere inteso anch’esso come una “desacralizzazione” , ce lo dà proprio Gesù quando, nel Vangelo, dice al vecchio Nicodemo: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (Gv 3,16-17).

Se il cristiano non appartiene al mondo ciò non significa che non debba amarlo. Ecco lo sguardo che dovremmo posare sul mondo così come ce lo mostra il nostro Lauro! Uno sguardo non di pietà o solo di semplice riprovazione, ma di amore! Certo non possiamo aderire a tutto quanto egli ha comunicato né non rimanere sconcertati e addolorati nel vedere determinati simboli cristiani utilizzati in modo irrispettoso in uno spettacolo,  possiamo però anche ascoltare la contraddizione, il dolore e il bisogno che nasconde quanto egli ha voluto esprimere. C’è sempre infatti ancora qualcosa da ascoltare e cogliere così l’occasione per guardarsi di più dentro.

Ecco alcune frasi del cantautore che ho raccolto qui e là:

“Ma in fondo tu sei come me, Che sei cresciuta come me, sola, Che vuoi solo quello che non hai”

“Lettera del mondo all’umanità: Scostante, aliena, trafitta, io so come ti senti. Sono qui trafitto nei tuoi preconcetti, aiutami, perché ne ho bisogno, come si ha bisogno dell’abbraccio di una madre. Non dimenticare chi eri. Tu sopravvivevi perché ti bastava un abbraccio. Io sarò lì per guardarti amare di nuovo. (…)  Aiutami perché ne ho bisogno, come si ha bisogno dell’amore di una madre, il puro bisogno di essere amati. Non dimenticare chi eri (…) Quando all’assenza di un padre, alla passione di Cristo, alla febbre dell’oro. Quando davanti all’insensibile, arido, asciutto e impassibile me tu sopravvivevi perché ti bastava un abbraccio”

“Sono la solitudine nascosta in un costume da palcoscenico”

L’esistente nella sua solitudine sa di essere e, solo come tale senza alcuna certificazione altra, è benedetto

“Nasci già dipendente

Non sono queste parole anche l’espressione di una condizione umana e sociale e di un bisogno più profondo? Non sono forse anche, in qualche modo, una invocazione di una benedizione e quindi l’eco sofferta del vuoto lasciato dalla mancanza del padre in questo mondo? Non sono probabilmente anche eco di una storia umana, una vicenda umana di un ragazzo che a soli 14 anni ha dovuto affrontare la vita un po’ troppo lasciato a se stesso?

Credo che Gesù ci chieda di accostarci alle parole di questo giovane, così come a quelle di tutti i giovani di oggi e di ogni uomo, come un medico, anch’egli ammalato, si accosta alla cartella clinica di un altro ammalato. Gesù lo dice: «non sono venuto per i sani, ma per gli ammalati». Non ci chiede Egli forse così di ammettere che siamo ammalati un po’ tutti, che tutti soffriamo di qualcosa e che abbiamo bisogno di guardarci con più amore e misericordia gli uni gli altri e cercare insieme un riferimento più grande, oltre di noi?

Dinanzi a questa condizione umana di “malattia” Gesù afferma che il desiderio di Dio è che nessuno vada perduto e per questo ha dato al mondo il suo unico Figlio. La risposta di Dio, la cura di questo nostro mondo ammalato di solitudine , in cui stanno venendo a mancare sempre più riferimenti importanti, nel quale regna confusione, spaesamento, una sorta di fluidità senza forma e quindi vuota, dove sempre più grava l’incertezza del futuro  da cui derivano quelle che già Spinoza chiamava “le passioni tristi”, è dunque esattamente un “padre” e l’abbraccio di una “madre”!

Lasciamoci dunque interpellare un po’ di più dalla provocazione del giovane Lauro piuttosto che gettarla frettolosamente via dopo averla “consumata” e soprattutto prendiamo sul serio l’impegno di Gesù ad essere “il cuore del mondo” e come ogni cuore che pulsa fino all’ultimo istante di vita – talvolta l’unica cosa che funziona in un organismo ridotto a vegetare – rispondiamo al carosello delle opinioni “copia e incolla” da cui siamo sommersi: “Sono troppo occupato”, sì sono molto occupato a pulsare vita in questo organismo malato che è il mondo perché non vada perduto.

Salvatore Franco

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