Il Padre

Il processo di conversione, nella esperienza della misericordia divina, tende a raggiungere l’uomo nella profondità del suo essere, là dove accanto alla sua dignità e sacralità alberga anche il dolore e il male del peccato.

Per questo la formazione dell’uomo nuovo deve essere, come affermava Giovanni Paolo II, «un processo vitale attraverso il quale la persona si converte al Verbo di Dio fin nelle profondità del suo essere»  Giovanni Paolo II. Vita Consecrata, n. 68.

Esso non consiste solo nella decisione di tornare a Dio ma anche in tutto il cammino di ritorno al Padre che è anche ritorno a se stessi. È questo di fatto l’itinerario che traccia in varie fasi la parabola del figliol prodigo: l’incontro con il Padre, il suo abbraccio e perdono, il ritorno alla propria dignità di essere umano e di figlio e infine l’auspicata riconciliazione con il fratello maggiore. In particolare evidenziamo come nella parabola del figliol prodigo, questi, lontano dal padre, non perse solo i suoi averi ma calpestò, e lasciò calpestare, la propria dignità di figlio e il suo ritorno fu – come sottolineava Giovanni Paolo II un “ritorno alla verità su se stesso” (DM 6). Tale verità – come afferma il n. 24 della “Gaudium et Spes” – riguarda quella costitutiva dell’uomo che in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa e che non può ritrovarsi pienamente «se non attraverso un dono sincero di sé». La dimensione “familiare” e relazionale della persona rimane quindi l’orizzonte costante di ciascuno: chi può negare infatti che la maggiori sofferenze che attanagliano e feriscono il cuore dell’uomo non siano in relazione con la propria famiglia? La dimensione familiare della persona è originaria e fonda e plasma tutta la vita della persona. Quando si incrina o si colpisce o distrugge proprio tale dimensione ecco che la persona ne risulta ferita, destabilizzata, alla ricerca spasmodica di riferimenti sicuri che spesso o non trova o sono falsi e ambigui. Facendo riferimento al n. 22 della Gaudium et spes, Giovanni Paolo II, nella “Dives in misericordia”, prende come assioma di partenza la seguente affermazione: “la manifestazione dell’uomo, nella piena dignità della sua natura, non può aver luogo senza il riferimento – non soltanto concettuale, ma integralmente esistenziale – a Dio. L’uomo e la sua vocazione suprema si svelano in Cristo mediante la rivelazione del mistero del Padre e del suo amore” (DM.1).

Per questo il ritorno del figliol prodigo trova un momento centrale nel suo “ritrovamento” del padre e del suo perdono e quindi del “ri-vestirsi” della propria dignità di figlio e tutto ciò culmina nell’apertura alla riconciliazione dei due fratelli per ricostituire l’unità di una famiglia “spezzata”. Si potrebbe per questo intitolare la parabola anche come “la storia del padre ritrovato”. Abbiamo in effetti tutti bisogno di ritrovare la via di casa per sapere chi siamo, ritrovare dove sono sepolte le nostre radici e solo da lì, scavando a fondo, potremo trovare il significato della nostra vita e la direzione del nostro futuro, così come un albero potrà tendersi verso l’alto e fortificarsi man mano che le sue radici berranno le linfe nascoste nella terra che a prima vista potrebbe apparire arida e senza vita.

E la Chiesa, che è madre, non cammina forse per le strade del mondo in cerca proprio di quei figli che hanno perduto la via di casa o che non hanno famiglia?  Non erano l’orfano e le vedove le persone considerate più fragili nell’Antica alleanza e nella Chiesa primitiva? Oggi l’elenco potrebbe ampliarsi per far posto a chi una famiglia ce l’avrebbe pure ma è separata oppure a chi è rimasto solo o avrebbe avuto diritto a non essere tradito proprio da chi doveva accudirlo e rispettarlo più di ogni altro.

Salvatore Franco

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Il compito che ci è affidato è in questo senso quello di percorrere la via dell’uomo verso il Padre. Questa strada la facciamo insieme ad ogni uomo che ci è affidato seguendo l’itinerario che Cristo stesso ha tracciato. In tale percorso Egli ha rivelato il Padre e il suo amore con l’insegnamento e le opere e quindi in se stesso. Non possiamo quindi intraprendere un autentico cammino verso l’uomo senza simultaneamente andare anche noi stessi “incontro al Padre e al suo amore” (cf. DM.1).

Ritrovare il Padre ricco di misericordia è una costante ed inesauribile fonte di conversione, non soltanto come momentaneo atto interiore, ma anche come stabile disposizione, come stato d’animo. Vivere in stato di conversione traccia la più profonda componente del pellegrinaggio di ogni uomo sulla terra in stato di viandante (cf DM.13) La misericordia non è il mistero di Dio in sé bensì il mistero di Dio che ama l’uomo. Per questo è anche la via attraverso la quale possiamo entrare e vivere nel cuore di Dio e nel suo mistero. Non si tratta quindi di una conoscenza di Dio così come possiamo immaginare razionale ma una conoscenza che proviene da una comunione con Lui, dal sentirci amati da Lui, perdonati e riconsegnati a noi stessi. La misericordia è ciò che può rivelarci il vero volto del padre celeste. Tutta l’opera e il messaggio di Gesù non hanno fatto altro che dirigere l’uomo verso il Padre.

La missione di Gesù, nel Vangelo di Giovanni, è sintetizzata con una frase densa di significato in quanto appare come un percorso che ci porta nel cuore del padre: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Gv 17,3). La misericorda si innesta quindi nel più delicato punto dell’esistenza umana: il suo rapporto con la paternità. Cosa significò per Gesù essere figlio di Dio? Tutta la sua vita egli restò figlio di Dio ma si trovò a diventare anche padre per noi. Egli volle essere sempre più vicino al cuore del Padre fino a cercare solo e unicamente la sua volontà. Volle ricevere tutto dal padre e soprattutto volle ricevere se stesso dal padre. Fu lui a volerlo, liberamente, gratuitamente così come il padre lo amava e si donava a lui gratuitamente. Nessuna costrizione lo spingeva ma solo il desiderio di ricambiare l’amore ricevuto.

Per lui il Padre era tutto, il suo tutto. Fu questo a portarlo a diventare sempre più simile a lui diventando il sacerdote perfetto del padre e dell’umanità offrendo tutto se stesso in un puro dono d’amore eterno e infinito: «Io non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato. Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli sono gradite» (Gv 8,28-29). Gesù e l’amato, Il Figlio di Dio è l’eterno Amato, colui che si è lasciato consegnare in obbedienza d’amore sulla croce (cfr Mt 3,17).

La sua vita fu tutta un’esistenza accolta. Il Figlio è colui che si lascia amare: tutta la sua vita e la sua missione si possono riassumere in questo riversare su di noi e in noi l’essere amati e il sentirsi amati dal Padre. “Come il Padre ha amato me così io amato voi” (Gv 15,9). Egli vedeva che il padre donava tutto se stesso e allora volle fare altrettanto ma non solo ricambiando l’amore al padre ma essendo come lui, essendo Lui. Gesù è diventato in questo modo, con tutta la sua esperienza di crescita umana e spirituale, il raggio perfetto della paternità divina per noi.

Salvatore Franco

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Documenti

Armendariz. Il Padre materno. Collevalenza 1982

Calvaruso. Una società senza Padre. Collevalenza 1982

Capponi. Dio Padre misericordioso. Collevalenza 1982

Coda. La paternità di Dio

Javierre. Il mistero di Dio. Collevalenza 1982

Rigobello. La condizione filiale. Collevalenza 1982

Il processo di conversione, nella esperienza della misericordia divina, tende a raggiungere l’uomo nella profondità del suo essere, là dove accanto alla sua dignità e sacralità alberga anche il dolore e il male del peccato.

Per questo la formazione dell’uomo nuovo deve essere, come affermava Giovanni Paolo II, «un processo vitale attraverso il quale la persona si converte al Verbo di Dio fin nelle profondità del suo essere»  Giovanni Paolo II. Vita Consecrata, n. 68.

Esso non consiste solo nella decisione di tornare a Dio ma anche in tutto il cammino di ritorno al Padre che è anche ritorno a se stessi. È questo di fatto l’itinerario che traccia in varie fasi la parabola del figliol prodigo: l’incontro con il Padre, il suo abbraccio e perdono, il ritorno alla propria dignità di essere umano e di figlio e infine l’auspicata riconciliazione con il fratello maggiore. In particolare evidenziamo come nella parabola del figliol prodigo, questi, lontano dal padre, non perse solo i suoi averi ma calpestò, e lasciò calpestare, la propria dignità di figlio e il suo ritorno fu – come sottolineava Giovanni Paolo II un “ritorno alla verità su se stesso” (DM 6). Tale verità – come afferma il n. 24 della “Gaudium et Spes” – riguarda quella costitutiva dell’uomo che in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa e che non può ritrovarsi pienamente «se non attraverso un dono sincero di sé». La dimensione “familiare” e relazionale della persona rimane quindi l’orizzonte costante di ciascuno: chi può negare infatti che la maggiori sofferenze che attanagliano e feriscono il cuore dell’uomo non siano in relazione con la propria famiglia? La dimensione familiare della persona è originaria e fonda e plasma tutta la vita della persona. Quando si incrina o si colpisce o distrugge proprio tale dimensione ecco che la persona ne risulta ferita, destabilizzata, alla ricerca spasmodica di riferimenti sicuri che spesso o non trova o sono falsi e ambigui. Facendo riferimento al n. 22 della Gaudium et spes, Giovanni Paolo II, nella “Dives in misericordia”, prende come assioma di partenza la seguente affermazione: “la manifestazione dell’uomo, nella piena dignità della sua natura, non può aver luogo senza il riferimento – non soltanto concettuale, ma integralmente esistenziale – a Dio. L’uomo e la sua vocazione suprema si svelano in Cristo mediante la rivelazione del mistero del Padre e del suo amore” (DM.1).

Per questo il ritorno del figliol prodigo trova un momento centrale nel suo “ritrovamento” del padre e del suo perdono e quindi del “ri-vestirsi” della propria dignità di figlio e tutto ciò culmina nell’apertura alla riconciliazione dei due fratelli per ricostituire l’unità di una famiglia “spezzata”. Si potrebbe per questo intitolare la parabola anche come “la storia del padre ritrovato”. Abbiamo in effetti tutti bisogno di ritrovare la via di casa per sapere chi siamo, ritrovare dove sono sepolte le nostre radici e solo da lì, scavando a fondo, potremo trovare il significato della nostra vita e la direzione del nostro futuro, così come un albero potrà tendersi verso l’alto e fortificarsi man mano che le sue radici berranno le linfe nascoste nella terra che a prima vista potrebbe apparire arida e senza vita.

E la Chiesa, che è madre, non cammina forse per le strade del mondo in cerca proprio di quei figli che hanno perduto la via di casa o che non hanno famiglia?  Non erano l’orfano e le vedove le persone considerate più fragili nell’Antica alleanza e nella Chiesa primitiva? Oggi l’elenco potrebbe ampliarsi per far posto a chi una famiglia ce l’avrebbe pure ma è separata oppure a chi è rimasto solo o avrebbe avuto diritto a non essere tradito proprio da chi doveva accudirlo e rispettarlo più di ogni altro.

Salvatore Franco

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Il compito che ci è affidato è in questo senso quello di percorrere la via dell’uomo verso il Padre. Questa strada la facciamo insieme ad ogni uomo che ci è affidato seguendo l’itinerario che Cristo stesso ha tracciato. In tale percorso Egli ha rivelato il Padre e il suo amore con l’insegnamento e le opere e quindi in se stesso. Non possiamo quindi intraprendere un autentico cammino verso l’uomo senza simultaneamente andare anche noi stessi “incontro al Padre e al suo amore” (cf. DM.1).

Ritrovare il Padre ricco di misericordia è una costante ed inesauribile fonte di conversione, non soltanto come momentaneo atto interiore, ma anche come stabile disposizione, come stato d’animo. Vivere in stato di conversione traccia la più profonda componente del pellegrinaggio di ogni uomo sulla terra in stato di viandante (cf DM.13) La misericordia non è il mistero di Dio in sé bensì il mistero di Dio che ama l’uomo. Per questo è anche la via attraverso la quale possiamo entrare e vivere nel cuore di Dio e nel suo mistero. Non si tratta quindi di una conoscenza di Dio così come possiamo immaginare razionale ma una conoscenza che proviene da una comunione con Lui, dal sentirci amati da Lui, perdonati e riconsegnati a noi stessi. La misericordia è ciò che può rivelarci il vero volto del padre celeste. Tutta l’opera e il messaggio di Gesù non hanno fatto altro che dirigere l’uomo verso il Padre.

La missione di Gesù, nel Vangelo di Giovanni, è sintetizzata con una frase densa di significato in quanto appare come un percorso che ci porta nel cuore del padre: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Gv 17,3). La misericorda si innesta quindi nel più delicato punto dell’esistenza umana: il suo rapporto con la paternità. Cosa significò per Gesù essere figlio di Dio? Tutta la sua vita egli restò figlio di Dio ma si trovò a diventare anche padre per noi. Egli volle essere sempre più vicino al cuore del Padre fino a cercare solo e unicamente la sua volontà. Volle ricevere tutto dal padre e soprattutto volle ricevere se stesso dal padre. Fu lui a volerlo, liberamente, gratuitamente così come il padre lo amava e si donava a lui gratuitamente. Nessuna costrizione lo spingeva ma solo il desiderio di ricambiare l’amore ricevuto.

Per lui il Padre era tutto, il suo tutto. Fu questo a portarlo a diventare sempre più simile a lui diventando il sacerdote perfetto del padre e dell’umanità offrendo tutto se stesso in un puro dono d’amore eterno e infinito: «Io non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato. Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli sono gradite» (Gv 8,28-29). Gesù e l’amato, Il Figlio di Dio è l’eterno Amato, colui che si è lasciato consegnare in obbedienza d’amore sulla croce (cfr Mt 3,17).

La sua vita fu tutta un’esistenza accolta. Il Figlio è colui che si lascia amare: tutta la sua vita e la sua missione si possono riassumere in questo riversare su di noi e in noi l’essere amati e il sentirsi amati dal Padre. “Come il Padre ha amato me così io amato voi” (Gv 15,9). Egli vedeva che il padre donava tutto se stesso e allora volle fare altrettanto ma non solo ricambiando l’amore al padre ma essendo come lui, essendo Lui. Gesù è diventato in questo modo, con tutta la sua esperienza di crescita umana e spirituale, il raggio perfetto della paternità divina per noi.

Salvatore Franco

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Documenti

Armendariz. Il Padre materno. Collevalenza 1982

Calvaruso. Una società senza Padre. Collevalenza 1982

Capponi. Dio Padre misericordioso. Collevalenza 1982

Coda. La paternità di Dio

Javierre. Il mistero di Dio. Collevalenza 1982

Rigobello. La condizione filiale. Collevalenza 1982

 


Links a Docuementi

♦ Giovanni Paolo II. Gesù Cristo ci rivela il volto del Padre  23.10.85

♦ Giovanni Paolo II. Il Dio dell’alleanza cerca l’uomo   25.09.85

♦ Giovanni Paolo II. Lo Spirito attraverso Cristo ci guida all’incontro col Padre   13.11.85

♦ Giovanni Paolo II. Abbà-Padre”: tutta la vita intima di Dio nell’unità trinitaria    1.07.87

♦ Giovanni Paolo II. Gesù Cristo, Figlio che “vive per il Padre”  15.07.87

♦ Giovanni Paolo II. Gesù Cristo: Figlio intimamente unito al Padre  08.07.87

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