Meditazione

Introduzione alla Meditazione

p. Salvatore Franco omi

La bellezza dell’esperienza cristiana risiede nella sua prospettiva di unificazione in cui ogni cosa creata e ognuno di noi può trovare la sua piena realizzazione. Nella preghiera di Gesù che prolunga quella dell’ultima cena, riportata al capitolo 17 del Vangelo di Giovanni e che compendia tutta la sua missione in questo mondo, troviamo l’insistente richiesta che tutti siano “una cosa sola”. Si tratta di un superamento di ogni divisione, di ogni opposizione, che Cristo desidera che si operi a partire dal cuore frammentato e ferito dell’uomo.

Se guardiamo la nostra esperienza personale possiamo notare come di fatto, non solo tra noi esseri umani vi sono lontananze e separazioni, ma anche in noi stessi. La più profonda divisione è quella che separa noi da noi stessi, noi da ciò che veramente siamo. Tale lontananza si riflette in quella che c’è tra la nostra mente e il nostro cuore, tra il nostro corpo e il nostro spirito.

Per questo nel pensiero orientale si dice che la mente deve collocarsi nel cuore per raggiungere l’unità in se stessi. Il pensiero induista, per es., parla della ricerca del vero sé interiore che chiama l’Atman, che, a sua volta, è lo strumento di consapevolezza dell’unione con il Brahman che è Dio.

In sintonia con questo pensiero S. Paolo scrive: “Il Dio della pace vi santifichi interamente, e tutta la vostra persona, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo” (1 Ts 5,23). S. Paolo ci dice che la santificazione, a cui tutti siamo chiamati, viene operata da Dio attraverso la rappacificazione, l’integrazione e l’unificazione di queste componenti fondamentali della persona: il corpo, la mente e lo spirito.

Questa unificazione, a sua volta, realizza la vera immagine di noi che è il Cristo in noi e quindi tra noi ed è operata dall’amore di dio che, ci dice sempre s. Paolo in un altro passo, è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo (Cfr. Rm 5,5).

Per questo la preghiera del cristiano è sempre una preghiera nello Spirito Santo e nell’amore: “…lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza: non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili” (Rm 8,26). La preghiera del cristiano non si esaurisce dunque nel recitare delle preghiere o esprimere delle parole pur molto belle, ma innanzi tutto deve giungere a lasciare che lo Spirito operi in noi.

Cristo ha presentato lo Spirito come l’essere divino dal quale dobbiamo rinascere: “Se uno non nasce dall’alto, non può vedere il Regno di Dio” (Gv 3,3). È lo Spirito Santo che opera questa rinascita interiore che Cristo ha promesso a quanti lo accolgono: “A quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati” (Gv 1,12-13).

Questa rinascita ci riporta a noi stessi, a sentirci cioè a casa nostra in noi e quindi ci riporta a quel bambino che è in noi e che desidera essere di nuovo generato alla vita per come Dio lo ha pensato, amato e creato, a quel dono che ognuno di noi è per il mondo. Così scrive Papa Francesco a questo proposito nella esortazione Gaudete et exultate: “Voglia il cielo che tu possa riconoscere qual è quella parola, quel messaggio di Gesù che Dio desidera dire al mondo con la tua vita. Lasciati trasformare, lasciati rinnovare dallo Spirito, affinché ciò sia possibile, e così la tua preziosa missione non andrà perduta” (n. 24).

Fin qui tutto sembra semplice ma l’esperienza ci dice che invece è tutt’altro che facile “lasciare” che lo Spirito agisca in noi e nella nostra vita. Troviamo infatti molti ostacoli e il primo siamo proprio noi, il nostro io frammentato e centrato su di sé, finisce infatti per essere lui stesso il maggiore ingombro al libero fluire dello Spirito.

La meditazione, per come la intendiamo in questo contesto, può rappresentare la nostra partecipazione, il nostro lavoro, perché sia possibile questa riunificazione in noi stessi e questo “lasciare” che agisca lo spirito in noi, perché si apra sempre più la porta del nostro cuore e possiamo rappacificarci e sentirci a casa in noi, con Dio e tra noi. Essa può essere immaginata dunque come un pellegrinaggio verso il nostro cuore.

La meditazione ci aiuta a raggiungere, in una condizione di profondo riposo della mente e del cuore, una migliore attenzione, concentrazione e apertura accogliente sia nei confronti di Dio che di noi stessi e quindi degli altri che sono in noi e accanto a noi.

Questo tipo di concentrazione viene chiamata dagli orientali “consapevolezza” indicando con ciò il fatto che ci aiuta a comprendere meglio le cose e noi stessi e ci apre al mistero che è in noi e che è la presenza di Cristo in noi e tra noi. Ci aiuta cioè a non lasciarci vivere dagli eventi, dalle cose e dagli altri, a non lasciarci consumare e stressare da essi, ma a vivere pienamente la vita e accogliere così la bellezza della Grazia divina, il nostro essere trasformati in uno in Cristo. Fin quando non avremo appreso ad espandere i confini della nostra consapevolezza sarà difficile per noi di cogliere e accogliere pienamente il messaggio e questa opera di Cristo in noi.

Si tratta dunque di apprendere a contattare più pienamente, più interamente, noi stessi e il mistero che è in noi. Per questo possiamo concordare abbastanza con quanto afferma il Buddismo, cioè che occorre partire anzitutto da un’osservazione consapevole e da uno sguardo amorevole e compassionevole su noi stessi.

Dal nostro punto di vista cristiano dell’amore, che ci porta sempre fuori di noi, possiamo dire che occorre partire da uno sguardo amorevole e compassionevole sul fratello che siamo noi stessi, trattarci cioè delicatamente come se fossimo una persona estranea da conoscere, apprezzare, sentire e amare e in cui cercare il volto nascosto di Gesù.

È anzitutto questo sguardo che permetterà che si avvii il processo di rappacificazione e riunificazione che è il frutto raccolto dall’opera dello Spirito Santo in noi: “Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5,22)

La meditazione di cui parliamo ci aiuta a seguire una via in cui il nostro cuore possa espandersi e aprirsi più agevolmente. La possiamo rappresentarcela con l’immagine che s. Giovanni utilizza nell’Apocalisse per parlarci del mistero della venuta di Gesù in noi e che dice: “Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20).

Questa immagine è molto significativa, il Nuovo Testamento si conclude infatti proprio con l’invocazione da parte della Chiesa che anela, come una sposa innamorata, alla venuta di Gesù: “Vieni Signore Gesù” (Ap 22,20) e che S. Paolo riporta così come la si pregava in lingua aramaica: “Maràna tha”: “Vieni Signore qui” (1 Cor 16,22).

Possiamo immaginare questa porta di casa con una scala che vi accede dall’interno. Per aprire occorre ascoltare e decidere di salire il gradino. La meditazione è la chiave che occorre girare per aprire questa porta a cui Gesù continuamente bussa per poter entrare e cenare con noi, ma anche il gradino da cui ripartire per salire la scala che ci fa accogliere il regno di Dio che è in noi. La chiave rappresenta quanto possiamo fare perché l’amore che Dio versa nei nostri cuori non trovi ostacoli e venga accolto pienamente; il gradino da salire, rappresenta invece quanto possiamo fare per essere capaci di girare questa chiave, per accedere cioè ad uno stadio di maggiore consapevolezza e unitarietà di noi stessi che ci conduce a scegliere e a dire il nostro “si” pieno a Dio. Diceva S. Agostino: “L’uomo deve innanzitutto ristabilire un rapporto con se stesso, cosicché fattosi gradino, possa da lì levarsi e trovare forza per raggiungere Dio” (Retractationes, 1).

L’esperienza di meditazione che vi propongo si distingue, per questo, in due fasi, nella prima contattiamo noi stessi attraverso una profonda esperienza di percezione dei nostri sensi (saliamo il primo gradino della scala). Il poeta Blake scriveva: “Se le soglie della percezione fossero rese pure, ogni cosa apparirebbe all’uomo come infinita” (A Memorable Fancy: The Ancient Tradition). Nella seconda fase della meditazione accediamo al mistero che è in noi e lo accogliamo (giriamo la chiave). Come dice S. Agostino: “Se vuoi trovare Dio abbandona il mondo esteriore e rientra in te stesso”. “Tuttavia”, prosegue, “Non rimanere in te stesso, ma oltrepassa te stesso, perché tu non sei Dio: Egli è più profondo e più grande di te”.

Ciò che collega le due fasi della nostra meditazione e ne costituisce la continuità è l’esperienza del respiro. Il respiro è la via che unifica la mente e il corpo, ma anche la via su cui procede lo Spirito Santo che unifica tutta la persona, nella sua interezza di corpo, mente e spirito e ci fa accedere alla Grazia e all’amore che Dio ha versato nei nostri cuori. Una delle immagini più significative per rappresentare lo Spirito di Dio è infatti quella dell’alito e del vento.

Iniziamo dunque la nostra prima meditazione con una esperienza di calma e di consapevolezza del respiro. In altre meditazioni potremo approfondire maggiormente l’esperienza di contatto con noi stessi accedendo via via ai pensieri, alle emozioni, e ai dolori fisici e morali che possiamo sentire.

Nella seconda parte ci faremo aiutare dalla preghiera ripetuta a lasciare che lo Spirito agisca in noi aprendoci così sempre più alla grazia e unificandoci sempre più in Cristo. Gli orientali chiamano questa parola ripetuta ”Mantra”. P. John Main afferma che il mantra ha il dono di guidarci verso la fonte dell’armonia del nostro essere, il nostro centro, come fa il segnale radar di un aereo che viaggia nella nebbia più fitta. Il mantra ci ristruttura, mentre lo pronunciamo, soprattutto se il suo suono è armonico, dentro di noi si realizza una risonanza. Tale risonanza ci conduce verso l’interezza e l’armonia così come una calamita attira la limatura di ferro disponendola secondo la forma del campo magnetico.

La ripetizione di una frase nella preghiera è di grande aiuto, essa è come il solco dell’aratro che scava a poco a poco nella terra del nostro corpo, della nostra mente, perché possa rifluirvi lo Spirito e dargli vita e frutti (Cfr. J. Main, Dalla Parola al silenzio. Via semplice alla meditazione).



♦ Congregazione per la Dottrina della fede. Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica su alcuni aspetti della dmeditazione cristiana (pdf)  

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