Il segno dei chiodi

Tommaso cerca l’autenticità come fa un giovane alle prese con le domande della vita. Egli non si accontenta di quanto gli raccontano i sui compagni, ha bisogno di fare esperienza diretta. Molto tempo prima altre persone avevano espresso questa idea quando alla samaritana, che aveva incontrato Gesù al pozzo, dissero: “Non è per la tua parola che crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo” (Gv 4,42).

Anche noi vogliamo fare esperienza diretta per credere e le parole che ascoltiamo su Gesù spesso ci possono apparire solo parole. L’esperienza che però immaginiamo di dover fare è spesso ancora secondo il nostro schema mentale, secondo il nostro modo di pensare la vita e la realtà delle cose. Forse proprio per questo in molti tale esperienza che la chiesa propone non risulta nemmeno attraente in quanto ciò che si pensa debba essere il credere appare molto lontano dalla realtà e dai bisogni di ogni giorno.

Tommaso all’inizio pensa che credere significhi tutto ciò che può conseguire alla constatazione della realtà della resurrezione: i segni tangibili della passione di Gesù saranno la testimonianza che colui che è stato crocefisso è lo stesso che ora i suoi compagni dicono farsi presente in mezzo a loro.
L’esperienza che Gesù fa fare a Tommaso è però molto più profonda di quanto questi pensava e di quanto è avvenuto nel proprio intimo ci resta la testimonianza della sua esclamazione : Mio Signore e mio Dio!”.

Che cosa ha fatto crollare l’incredulità di Tommaso?

Per capirlo possiamo riferirci alla esperienza che ci racconta Santa Teresa Benedetta della Croce, Edith Stein, riguardo l’inizio della sua conversione: ella era sta aiutata e introdotta nell’ambiente filosofico del suo maestro Edmund Husserl dal suo assistente Adolf Reinach. Questi era da poco sposato molto felicemente con la moglie Anne, essi erano entrambe cristiani e insieme accoglievano volentieri Edith Stein nella loro casa per cui nacque una profonda amicizia tra loro. Durante la prima guerra mondiale Reinach decise di partire per il fronte ed Edith sentì l’ispirazione a partire anche lei per essere vicina alla sua gente come crocerossina. Quando tornò ricevette insieme alla notizia della morte dell’amico anche l’invito da parte della moglie ad andare da lei per riordinare le opere postume del marito caduto in guerra. Edith accettò prontamente, ma entrò in quella casa non senza una certa apprensione : colui che così pieno di bontà ne era stato il centro vitale, non era più presente, ed ella temeva di rivedere la signora, che aveva conosciuto compagna felice di quell’uomo, e che ora immaginava, vedova com’era, affranta dal dolore e dalla disperazione. Tutto invece si presentò in modo assai diverso: ciò che l’atea Edith Stein vedeva come una sventura angosciante, la cristiana Reinach l’aveva accolto come una parte della Croce di Gesù. Il volto della vedova apparve a Edith sì segnato dal dolore ma anche trasfigurato da una luce misteriosa. Di questa esperienza inaspettata Edith Stein ci ha lasciato una testimonianza personale:

“Fu il mio primo incontro con la Croce, la mia prima esperienza della forza divina che dalla Croce emana e si comunica a quelli che l’abbracciano. Per la prima volta mi fu dato di contemplare in tutta la sua luminosa realtà la Chiesa nata dalla Passione salvifica di Cristo, nella sua vittoria sulla morte. Fu quello il momento in cui la mia incredulità crollò…”

 Non è importante solo sapere che Gesù è veramente risorto, ma soprattutto è fondamentale credere che tutto quanto Egli ha preso su di sé e dentro se stesso di ciò che è umano è stato da Lui trasformato: tutto ha acquistato un significato diventando qualcosa che “bisognava che accadesse” (Cfr Lc 24,26) e, allo stesso tempo, che anche per noi tutto può acquistare significato. I segni dei chiodi sono l’ultima traccia lasciata sul corpo di Cristo del suo essere uomo tra gli uomini, il segno indelebile del suo donarsi eterno all’uomo di ogni tempo.

Per i discepoli di Gesù è fondamentale rapportarsi con questi segni in quanto rappresentano il confronto con tutto ciò che nella vita è fonte di dolore.

 Cosa vuol dire dunque credere, che cos’è in definitiva la fede? Edith Stein afferma che la fede è una luce oscura. Il cammino della fede è un cammino oscuro ed è proprio quanto ci comunica la stessa parola di Gesù: “Beati quelli che pur non avendo visto crederanno” (Cfr Gv 20,29): “La fede è la via che attraversa la notte per condurre al traguardo dell’unione con Dio: in essa si opera la dolorosa rinascita dello spirito, la sua trasformazione da essere naturale in essere soprannaturale”.

 Per Edith Stein l’incontro con il Cristo crocefisso e risorto è fonte di un nuovo modo di esistere e di guardare la vita e tutto ciò che ci circonda, lei chiama questa novità “Scienza della Croce”.

Non si tratta di vedere ciò che vorremmo vedere noi per poter essere convinti di qualcosa, ma di entrare per Grazia nel cammino oscuro della fede e di “vedere” con la luce oscura della fede ciò che non ci aspetteremmo di vedere: l’inedito che ci parla del significato della nostra vita – di quanto abbiamo vissuto e di quanto vivremo – e dello stesso Dio per come Egli si rivela a noi e non per come ce lo immaginiamo noi.
Tommaso non avrebbe mai pensato che quei segni sulle mani e nel costato di Gesù risorto avrebbero avuto un significato anche per lui: egli ha finalmente capito che quel Gesù che aveva conosciuto era il vero Signore della sua vita: “Mio Signore e mio Dio”, vale a dire: Tu sei colui che dà senso al mio esistere e solo in te ritrovo me stesso e il mio compito nell’umanità e nel mondo, Tu sei il Dio che ho cercato da sempre.

Da quel giorno Tommaso ha iniziato ad essere realmente credente e ad intraprendere in modo del tutto nuovo il percorso che lo ha condotto al compimento della sua missione.

 Chi di noi potrebbe mai immaginare che dalle nostre esperienze di dolore possa nascere un nuovo senso della vita, un nuovo incontro con la realtà profonda di noi stessi, degli altri e di Dio? Eppure ciò che i discepoli vedono è Gesù con i segni del suo dolore e della sua morte. Sono felici, gioiscono, perché vedono che Egli è veramente andato oltre quel patire. Gesù ha lasciato che quei segni restassero sul suo corpo come una porta aperta attraverso la quale Egli è passato e dalla quale invita a passare anche i futuri credenti in Lui.

Diventare credente è partire da questi segni lasciati per noi perché possiamo iniziare il cammino della fede e scoprire così il senso del nostro vivere e il compito che ci attende.
In questo modo anche noi possiamo essere per gli altri quell’inedito che porta significato e gioia al proprio vivere.

La stessa Edith Stein diceva a questo proposito: “Si deve accogliere la propria missione, giorno per giorno, attraverso il contatto con Dio, non sceglierla…”… “Ciò che non era nel mio progetto, era nel piano di Dio”.

Salvatore Franco

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